(fine)
di Pasquale Panella
Fatto sta che alla fine di una qualche puntata precedente lei entrò, e stiamo ancora là. È romanzo anche Chandler, che scrive storie di investigazione, tipo deciso e sbrigativo, sa come ci si comporta nella vita scritta, la conosce come se fosse vera; basta e avanza. Roberto Longhi, non da meno, mi pare che ponesse in testa a tutto “la disciplina del conoscitore”.
L’apparizione della figura femminile in un romanzo, la bella figura, l’inattesa visita della bellezza nello scrivere è tutta là. Bussa o non bussa, è annunciata o no, lei entra, fatale (nel senso del fato, non del biondo o del tizianesco o del corvino). Anche quando è lui che va a incontrarla previo appuntamento è sempre lei che appare, che viene dall’altro mondo a fare la sua figura romanzesca. C’è chi direbbe che è eccessivo, eccedente al ribasso, mettere così la cosa. Eccesso per eccesso, fammelo dire come in un romanzetto: “ma non è così che accade nella vita?”. L’espressione è antiquata e un po’ stantia, certo. Non è antico anche il romanzo? Anche la vita, credo. Voglio forse suggerire che il romanzo sia una forma di vita e, ovviamente al contrario, che la vita sia una forma di romanzo, scrivere una stupidaggine del genere, svolgere un temino da convegno, da costoso catalogo di sprechi di colore in mostra.
Ma le cose, ecco: le cose, come stanno le cose? Sto prendendo tempo, sto perdendo tempo, sono alla ricerca del tempo da perdere.
Me ne accorgo da me, rileggendomi. Capisco la perplessità lì al giornale, il giornale che accoglie, accoglieva, questo romanzo a puntate, pagine che mi somigliavano, nelle quali mi muovevo come le parole che avevo scritto, svagato, forse sperduto. Ma sì, divagando come un foglio di giornale al vento. Giornate ventose nella mia testa, infatti. L’ultima puntata rimasta in aria, non pubblicata, non scendeva con le zampe a terra, anzi saliva verso la rarefazione degli strati alti, nei quali il fumoso testo diradava e poi spariva. Parlavo di bellezza, infatti. Se ti capita nella vita (dove sennò?) di vedere il viso femminile bellissimo allora capisci che non esiste bellezza altrove né in natura né nell’arte (il cui fine, come è noto, non è infatti apparire in sfoggio di bellezza se non sguaiatamente come vignetta naturale o artificiale). Avevo visto quel viso.
Possibile che non me ne fossi accorto che non era pubblicabile, la puntata 25? (Ambisce forse diventare un titolo? La puntata 25.)
A un certo punto il dubbio mi è venuto, però. Continuava il silenzio del giornale. Ho fatto una cosa che non ho mai fatto, ho riletto la puntata che avevo inviato, ho capito il silenzio. Tutto ben scritto, certo, ma c’era da chiedersi se io ne fossi al corrente o se avessi davvero scritto io quelle pagine nelle quali l’autore è colto nel momento in cui sta confessando, senza rendersene conto, di essere diventato cretino, lo stupido insensato che guarda in cielo le parole volare, magari anche stampate come piumaggio sulle ali delle pagine (sto ancora usando queste meticolose e insulse figure?). Ho scritto allora due righe al giornale: sollevavo tutti dall’imbarazzo di comunicarmi le ragioni della mancata pubblicazione, comprendevo il loro silenzio. Condividevo la linea del giornale, al loro silenzio avrei fatto seguire il mio. La notizia che ero rincretinito non sarebbe apparsa. Ecco fatto.
Questa è la fine del Romanzo in corso. Romanzo? No, questo non è il romanzo, questo è soltanto il prologo. All’inizio ho scritto (mi pare di averlo scritto) che il romanzo ha un titolo che non è questo, so quale, non è questo (ho una curiosa lucidità, che direi scintillante e ripetitiva, ho nella testa come degli acciarini che scattano, mi pare).
So come inizia il romanzo, inizia da qui, dalla fine del prologo. Allora inizierò da questa fine.
E il suo bel viso? Allora non ci siamo capiti. Il viso è indescrivibile, se non come vignetta, caricatura, in accentuazione, in mancanza, in alterazione, in contraffazione insomma. Un bel viso descritto non l’ho mai visto, forse nemmeno letto. Anzi, a leggerli i bei visi descritti mi sono sempre parsi un po’ mostruosi: va detto che molte descrizioni, non solo di visi, hanno anticipato di secoli il cubismo e anche l’astrattismo e l’informale. Non è questione solo di bellezza ma di dubbi sullo scrivere, e allora fermiamoci qui che è meglio.
“So di non avere tempo, so di non avere niente, sto bene, so che devo scrivere e non mi va di scrivere”, prima di cominciare scrisse questa frase. Aveva sedici anni e cominciò a rimandare. Insomma, cominciò.