Margaret Mary Panella nasce a New York nel 1906 figlia di Agostino, barbiere proveniente da Sant’Angelo a Cupolo, e di Susan. Di indole riservata, il suo temperamento artistico la spinge a prendere parte ai circoli letterari e a scrivere sulle riviste del liceo. Nonostante lo zio Valentino lavori presso una nota casa editrice, Margaret non è attratta dall’idea di pubblicare i suoi scritti e si dedica all’insegnamento. Trascorre le giornate assieme ai giovani allievi. Nel 1947 si sposa. Dopo una intera esistenza passata a Hempstead, città di Long Island, Margaret muore nel 1963.
Una giornalista indaga su un magnate. Giunti in Africa per un anacronistico safari, incontreranno un cacciatore e una misteriosa scultrice. Prede e predatori, animali, banditi, gente in movimento e il sogno di un investimento virtuoso.
È nato l’Istrice. Che tutti pensano sia un arciere, invece no. È che teme l’amore. Ne morirebbe se fosse abbracciato stretto stretto. Così rende impossibile l’abbraccio se non è come una caccia durante la quale, prima o poi, gli scappa, non volendo, la frecciata. Quel lasciare andare, lasciare andare la freccia, lasciare andare, lasciare.
Spedizioni alla ricerca di parole, una parola per ogni dettaglio, dettagli che accorciano le distanze all’interno delle storie per allungare la distanza tra noi e le storie, un racconto privo di distanza è un resoconto, mettere distanza per idealizzare, per scacciare quel che è reale, risaputo, vicino, evocare altri mondi, mondi come il nostro ma altri mondi, mondi di parole, è avventura la scrittura.
Così la critica preventiva: “Un incontro agonistico in tre tempi tra il raccontare e il racconto”, “Quello che è scritto potrebbe essere scritto in altro modo, e anche quello che è narrato potrebbe essere narrato in altro modo. Mentre ci si chiede quale sia l’altro modo, ci si rende conto che non c’è altro modo che questo”, “Il racconto non è un racconto, un solo racconto, ogni frase è un racconto”.
Sette racconti in corsa verso il romanzo. Tre giovinezze, la pesca al faro, il tiro a segno, la casa sotto la pioggia, la villa nella foresta, la lince, “una barca e il suo nome”. Due ristoratori inquieti, un cavallo falabella, una banca fragile, una sala chiusa dall’interno, una terrazza, un passato elementare, la merce, “le cene e la città”. Uno sceneggiatore, una produttrice e la sua segretaria, un treno, sonni difficili, il cinema, le trame, le idee, una sosta forzata, come in un film musicale, come in una tomba sotterranea, in giardino danza “la figlia del produttore”. Zero rischi e tutti i rischi, spionaggio, un colpo di stato, ferimenti, imboscate, teatrini, tesori, una banca in una baita, un Nobel postumo, “le missioni”. Numeri di varietà, una superficiale festa romana, la ragazza Anastasia, un editore e una aristocratica russa, la pesantezza mondana, rivoluzioni, scomuniche, stanze segrete, mattonelle di Vietri, biglie e accendini, un vescovo in rosa, una antica matrona e una parmigiana in uscita dalla vita e dalla cucina, “i nuovi eredi”. Dentro “il cantiere narrativo”. Finale “come la sinossi di un melodramma”. E questo è niente. (Tra virgolette i titoli dei racconti).
Silvano Panella. Autore e editore. Fondatore della casa editrice SPedizioni, con la quale pubblica le raccolte di racconti “Il Cantiere Narrativo” (2018) e “Viaggi al Centro del Racconto” (2019), i romanzi “Le Spedizioni” (2020) e “I Cercatori” (2023), la raccolta “Poesie di Margaret Mary” (2024). Ha scritto assieme a Massimiliano Governi il libro “L’Istrice” (2022). Ha curato la versione italiana di alcuni discorsi di capi nativi americani. Suoi testi sono apparsi in Minima&Moralia e Nazione Indiana.
Sette racconti in corsa verso il romanzo. Tre giovinezze, la pesca al faro, il tiro a segno, la casa sotto la pioggia, la villa nella foresta, la lince, “una barca e il suo nome”. Due ristoratori inquieti, un cavallo falabella, una banca fragile, una sala chiusa dall’interno, una terrazza, un passato elementare, la merce, “le cene e la città”. Uno sceneggiatore, una produttrice e la sua segretaria, un treno, sonni difficili, il cinema, le trame, le idee, una sosta forzata, come in un film musicale, come in una tomba sotterranea, in giardino danza “la figlia del produttore”. Zero rischi e tutti i rischi, spionaggio, un colpo di stato, ferimenti, imboscate, teatrini, tesori, una banca in una baita, un Nobel postumo, “le missioni”. Numeri di varietà, una superficiale festa romana, la ragazza Anastasia, un editore e una aristocratica russa, la pesantezza mondana, rivoluzioni, scomuniche, stanze segrete, mattonelle di Vietri, biglie e accendini, un vescovo in rosa, una antica matrona e una parmigiana in uscita dalla vita e dalla cucina, “i nuovi eredi”. Dentro “il cantiere narrativo”. Finale “come la sinossi di un melodramma”. E questo è niente. (Tra virgolette i titoli dei racconti).
Spedizioni alla ricerca di parole, una parola per ogni dettaglio, dettagli che accorciano le distanze all’interno delle storie per allungare la distanza tra noi e le storie, un racconto privo di distanza è un resoconto, mettere distanza per idealizzare, per scacciare quel che è reale, risaputo, vicino, evocare altri mondi, mondi come il nostro ma altri mondi, mondi di parole, è avventura la scrittura.
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