venticinquesima puntata

di Pasquale Panella

“Perché non vai avanti?” mi chiede.

Davvero, perché non vado avanti? 

Ho quel momento, non so come definirlo, con quale parola, non so nemmeno se la parola c’è (le parole, più ne abbiamo bisogno più loro hanno bisogno di altre parole per essere dette, approfittano di noi che, fessi, scioriniamo parole per accontentarle, queste parole parassite, delle quali noi siamo soltanto un disgorgo). Quel momento torpido, incantato ma da niente, appeso al fumo, ammaliato dall’eventualità che nulla accada, che nulla mi tocchi, comprendendo nel nulla soprattutto le persone. Quel momento labile. 

Devo dirlo, devo dire questa cosa nella quale sono assorto? Questa cosa rovinosa. Questa cosa: la bellezza non è nelle offerte appariscenti della natura né nelle maniacali apparenti prodezze dell’arte. La bellezza è nella bellezza femminile. Non c’è bisogno che mi si trafigga per averlo detto. Averlo detto è già una trafittura. Basta averla presente, la bellezza, e già questo presente è un’arma da punta contro il pallone gonfiato delle mie espressioni. Come mai è possibile averla presente? La bellezza del viso, per limitarci a questa infinità. Non parliamo poi della moltiplica esorbitante attivata dal malleolo, dal ginocchio, dal gomito, e stiamo parlando d’ossa. Ecco, quest’ossa, come parti di un macchinario chissà quale, avviano a vista il loro meccanismo, la loro meccanica di precisione e accrescono la bellezza di intensità, di numero, di quantità, (come è riportato dai vocabolari, che si spingono fino al pettegolezzo) e tu la perdi e non l’afferri più. Perché cos’è alla fine la bellezza di un viso femminile, anche se non ancora moltiplicata dal lavoro della clavicola (e non parliamo del lavoro dei tendini: quelle stecche di ventaglio sul dorso del piede), cos’è alla fine? È che non c’è una fine, una comprensione finale non c’è. Questa bellezza è che non sai cos’è questa bellezza. Non t’è presente, tu non sei il suo tempo (e intanto preghi che per essa il tempo non passi), guardi quel viso e non ti raccapezzi dove mai sia quel viso che è davanti a te. Ti distrae da te, soprattutto dal goderla. Nulla è incomprensibile quanto la bellezza (al secondo posto: la nudità). 

(Se il romanzo fosse un luogo turistico, forse lo è, la Guida direbbe: “Qui si capisce benissimo che l’autore parla di un viso preciso, uno solo, e lui solo sa quale, e lei che ha quel viso, anche lei, sa.”)