Così la critica preventiva: “Un incontro agonistico in tre tempi tra il raccontare e il racconto”, “Quello che è scritto potrebbe essere scritto in altro modo, e anche quello che è narrato potrebbe essere narrato in altro modo. Mentre ci si chiede quale sia l’altro modo, ci si rende conto che non c’è altro modo che questo”, “Il racconto non è un racconto, un solo racconto, ogni frase è un racconto”.
Sette racconti in corsa verso il romanzo. Tre giovinezze, la pesca al faro, il tiro a segno, la casa sotto la pioggia, la villa nella foresta, la lince, “una barca e il suo nome”. Due ristoratori inquieti, un cavallo falabella, una banca fragile, una sala chiusa dall’interno, una terrazza, un passato elementare, la merce, “le cene e la città”. Uno sceneggiatore, una produttrice e la sua segretaria, un treno, sonni difficili, il cinema, le trame, le idee, una sosta forzata, come in un film musicale, come in una tomba sotterranea, in giardino danza “la figlia del produttore”. Zero rischi e tutti i rischi, spionaggio, un colpo di stato, ferimenti, imboscate, teatrini, tesori, una banca in una baita, un Nobel postumo, “le missioni”. Numeri di varietà, una superficiale festa romana, la ragazza Anastasia, un editore e una aristocratica russa, la pesantezza mondana, rivoluzioni, scomuniche, stanze segrete, mattonelle di Vietri, biglie e accendini, un vescovo in rosa, una antica matrona e una parmigiana in uscita dalla vita e dalla cucina, “i nuovi eredi”. Dentro “il cantiere narrativo”. Finale “come la sinossi di un melodramma”. E questo è niente. (Tra virgolette i titoli dei racconti).
“Non è un monologo, è un soliloquio, nessun suono. Qui tutto è chiacchiera nella mente, silenziosa, un silenzio con i rumori intorno. Lei sola, distratta dalla sua chiacchiera, non li sente. Sui rumori lei pone il velo di sordità del suo mutismo. Il soliloquio, questa intima piazzata, questo comizio, questo convenire, qui, di un’oratrice che ha solo se stessa a ascoltarla, a ascoltarsi, a sentirsi regnante sul silenzio”.
“Questo libro ha la forza di un romanzo. Un romanzo terribile e allo stesso tempo, proprio per il coraggio con cui affronta il male, pieno di speranza. Un esorcismo, un rito propiziatorio, un sabba imperscrutabile che mette in fuga i demoni anziché attirarli: spaventa il Diavolo… Il segreto che la scrittura di Governi custodisce consiste proprio nel toccare il dolore e contemporaneamente lasciarlo intatto”. (Sandro Veronesi)
Quest’opera ci svela come la piazza si è sviluppata, come ha indossato, cucito e ricucito il tessuto abitativo e quello sociale, cosa ci si può aspettare dal movimento che nasce – e muore – nello spiazzo generale, un vero e proprio happening involontario, mentre un intero Paese ruota intorno a esso e lo fodera come può, o come vuole. La Piazza… “Sai che facciamo? Questa è la piazza principale, sediamoci qui… quella qua passa” (Peppino de Filippo). Prefazione di Giuseppe De Rita. Agoretica di Lucio Saviani. Chiude il libro un poemetto di Pasquale Panella: “La Piazza, vie di entrata e vie di uscita”.
Silvano Panella. Autore e editore. Fondatore della casa editrice SPedizioni, con la quale pubblica le raccolte di racconti “Il Cantiere Narrativo” (2018) e “Viaggi al Centro del Racconto” (2019), i romanzi “Le Spedizioni” (2020) e “I Cercatori” (2023). Ha scritto assieme a Massimiliano Governi il libro “L’Istrice” (2022). Ha curato la versione italiana di alcuni discorsi di capi nativi americani. Suoi testi sono apparsi in Minima&Moralia e Nazione Indiana.
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